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Intrecci

Sissi Farassat, Negin Mahzoun, Azita Moradkhani, Koushna Navabi, Sepideh Salehi, Zoya Shokoohi 

a cura di Rischa Paterlini

opening martedì 27 febbraio 2024

fino al 30 marzo 2024

Galleria Anna Marra è lieta di presentare INTRECCI, una mostra collettiva, a cura di Rischa Paterlini, che presenta il lavoro di sei artiste iraniane che, nonostante vivano al di fuori dei confini della loro terra d’origine, sono accumunate da uno stretto legame verso le loro radici e la loro tradizione. 
Sissi Farassat, Negin Mahzoun, Azita Moradkhani, Koushna Navabi, Sepideh Salehi e Zoya Shokoohi trasformano il loro vissuto in una potente forma di espressione artistica, sfidando il silenzio imposto dalle convenzioni sociali. 

Dopo la rivoluzione culturale attuata nel '79 dall’Ayatollah Ruhollah Khomeini, le donne iraniane hanno visto i loro diritti assottigliarsi sempre di più, fino a quando l’uccisione di Masha Amini a Teheran, nel settembre 2022, ha innescato una rivolta inarrestabile delle donne. È in questo contesto di ribellione che le opere delle artiste in mostra acquistano un significato ancora più potente, configurandosi come un grido di protesta contro un regime opprimente. 
INTRECCI vuole essere quindi un viaggio drammaticamente attuale, oltre i limiti geografici e culturali, sfruttando la potenza dell’arte come veicolo di espressione e connessione globale. 

Le artiste presentate esplorano la negazione, la resilienza e la ribellione, mantenendo viva l’attenzione su politiche di repressione, poiché, nonostante l’allontanamento forzato dalla loro terra di origine, portano costantemente con sé la consapevolezza delle proprie radici. Le opere sono autentiche narrazioni visive che rivelano una delicata tensione tra tradizione e innovazione, individuo e collettività. Attraverso medium diversi, esplorano la contemporaneità da molteplici prospettive, creando un dialogo ricco e dinamico, che invita lo spettatore a riflettere sulla complessità del loro contesto geopolitico. 
Un intreccio che potrebbe apparire a tratti surreale senza però voler significare necessariamente una fuga dal reale ma piuttosto una modalità “altra” per far conoscere situazioni di cui, altrimenti, sarebbe impossibile parlare.

Il lavoro di Sepideh Salehi, col quale si apre la mostra, intreccia la storia personale dell’artista con quella di altre donne iraniane che, come lei, hanno vissuto il cambiamento sociale e politico del loro paese. Attraverso materiali diversi, esprime il concetto di copertura, nascondimento, privacy e abuso di potere. Nelle sue opere, spesso, ritornano motivi tradizionali iraniani, che fotografa personalmente o ricerca online. L’artista attraverso questo espediente indaga la memoria del passato e la preserva dall’oblio, donandogli una nuova veste. Introspezione e resistenza si manifestano nella sua opera che, attraverso lo sfondo nero, enfatizza l’isolamento dell’individuo. 
Le opere della Sepideh sono affiancate a quelle di Azita Moradkhani, che esplora, attraverso il disegno e l’installazione, la vulnerabilità del corpo femminile. L’artista disegna capi d’abbigliamento intimo con dettagli inaspettati e dirompenti per esprimere la sensazione di insicurezza all’interno del proprio corpo, generando, però, una sorta di erotismo che seduce lo spettatore. Un apparato iconografico, che riprende il fotogiornalismo, la fotografia artistica e il simbolismo storico, che rivela interconnessioni tra piacere e dolore, tra privato e pubblico, tra la rappresentazione sessuale e l’identità nazionale.
La mostra prosegue con le sculture di Koushna Navabi, la cui pratica artistica sfrutta il mezzo tessile, il ricamo e la maglieria, per creare una varietà di oggetti deformati o trasformati, che esplorano la sfera familiare e domestica in chiave surreale. L’artista riformula i luoghi confortanti della casa e dell’infanzia per creare un senso di straniamento ed esprimere l’impossibilità della stabilità e della gioia che deriva dallo sconvolgimento dell’espatrio e dello spostamento, fortemente collegato alla sua esperienza personale. 
Il cucito appartiene anche alla ricerca artistica di Sissi Farassat, che ricama i suoi scatti fotografici, in parte autobiografici, con perline, cristalli e paillettes, trasformando l’immagine in una sorta di arazzo, che rivela la combinazione di influenze dell’arte e del design persiano e viennese. Con il suo lavoro manuale, l’artista isola il soggetto principale dallo sfondo, eliminando, così, il contesto originale e la distinzione tra rivelato e nascosto. Al tempo stesso, attraverso la sua pratica manuale, altera la proprietà intrinseca del mezzo fotografico di creare stampe multiple.
Le due serie di lavori in mostra di Negin Mahzoun (Destruction e I am not a Tale to be Told) mescolano ricamo e fotografia. Infatti l’artista, dopo aver impresso sul tessuto la propria immagine la stravolge attraverso il cucito, fissando in modo indelebile una storia di oppressione e condividendone visivamente il trauma che da essa deriva, in tutte le sue sfaccettature culturali, sociali e psicologiche, anche le più intime. Cucire diventa un gesto simbolico, un mezzo per esprimere, al tempo stesso, sia il dolore, sia il suo superamento. 
La mostra si arricchisce dell’intervento performativo Attraversa il confine di Zoya Shokoohi, artista che indaga le peculiarità della vita contemporanea in un mondo occidentale e globalizzato e si interroga sulla posizione che, in seguito al processo migratorio, ha assunto personalmente in questo contesto. In particolare, i suoi lavori offrono uno sguardo critico sulle micro-utopie, la realtà del sistema dell’arte contemporanea e della cultura. Fil rouge della sua pratica è il costante richiamo dello spettatore a diventare partecipe delle sue opere, che si configurano come esperienze al contempo collettive e autoriflessive. 

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